Dopo i primi incontri Governo-Regioni/Ipotesi che per ora convincono poco Luci e ombre nel testo sul federalismo fiscale di Antonio Del Pennino In attesa di conoscere il testo che il Consiglio dei Ministri adotterà a seguito degli incontri tra i Ministri Calderoli e Fitto e i rappresentanti delle Regioni avviati giovedì, non è ancora possibile un giudizio compiuto sul disegno di legge relativo all'attuazione dell'art. 119 della Costituzione: il cosiddetto federalismo fiscale. Ma è sin da ora possibile avanzare alcune considerazioni di metodo e di merito che ne evidenzino luci ed ombre. Certo, è scelta importante quella di sostituire a un sistema di finanza derivata, basato sulla cosiddetta spesa storica, un nuovo sistema che si fondi principalmente sull'autonomia impositiva di Regioni ed enti locali e che faccia riferimento al costo standard. E' noto, infatti, come il sistema di finanza derivata avente come parametro la "spesa storica" abbia di fatto esaltato solo gli atteggiamenti rivendicativi di Regioni, Province e Comuni, volti a battere cassa nei confronti dello Stato oltre ogni limite di compatibilità del sistema economico e a rinunciare a qualsiasi tentativo di riduzione degli sprechi e delle spese superflue. L'adozione di un sistema basato sull'autonomia impositiva significa, invece, responsabilizzare gli amministratori, obbligandoli a selezionare gli investimenti, ad espandere alcuni servizi riducendone altri, a sviluppare alcune prestazioni offerte ponendone l'onere a carico della comunità, o a contenere le spese rinunciando a tassare maggiormente le popolazioni interessate. E l'adozione del criterio dei "costi standard" consentirà un'oggettiva quantificazione degli oneri per i diversi servizi offerti. Da questo punto di vista, quindi, l'iniziativa di avviare il cosiddetto federalismo fiscale non può non essere salutata positivamente. Evidenziato questo, rimangono però, rispetto al provvedimento governativo, non poche ombre. Innanzitutto, è pur vero che il testo presentato al Consiglio dei Ministri prolunga a 24 mesi, anziché i 6 originariamente previsti, il termine per l'emanazione di decreti delegati, il che appare opportuno in una materia così complessa, ma l'iter previsto per tale emanazione sembra ridurre il Parlamento ad una funzione residuale. Infatti, è previsto che gli schemi dei decreti legislativi siano adottati previa intesa da definire in sede di Conferenza Unificata Stato-Regioni e gli stessi vengano trasmessi alla Camera e al Senato per l'espressione del parere, da formulare entro 30 giorni dalla loro trasmissione. Decorso tale termine i decreti possono essere comunque emanati. E' evidente quindi che il contenuto dei decreti sarà oggetto di una trattativa esclusiva tra Governo e sistema delle autonomie, mentre al Parlamento resterà un ruolo di semplice ratifica. A questa prima osservazione ne vanno aggiunte altre tre. Il disegno di legge parla di tributi e compartecipazioni per finanziare le spese derivanti dall'esercizio delle funzioni nelle materie di competenza legislativa delle Regioni, di cui al 3° e 4° comma dell'art. 117 della Costituzione, cioè alle materie di competenza esclusiva regionale e di quella concorrente. Il che significa dare per scontato una ripartizione delle competenze tra Stato e Regioni quale quella disegnata nella riforma del Titolo V della Costituzione approvata dal centro sinistra nel 2001. Una riforma che l'attuale maggioranza aveva giudicato necessaria di correzioni nel corso della XIV legislatura. Una riforma che va soprattutto rivista per quanto riguarda la legislazione concorrente: basti pensare, per fare un esempio, al tema della produzione, trasporto e distribuzione dell'energia che non può non riguardare la competenza esclusiva statale. Assicurare alle Regioni la copertura finanziaria per materie delle quali va rivista l'effettiva attribuzione significa cristallizzare un disegno istituzionale sbagliato o aprire la strada a futuri conflitti tra lo Stato e le Regioni. Da questo punto di vista il fatto che il disegno di legge sul federalismo fiscale non sia accompagnato da un provvedimento che ridefinisca il quadro istituzionale ne rappresenta un grave limite. E questo aspetto emerge con chiarezza anche per un'altra questione. La bozza del ddl presentato al Consiglio dei Ministri prevede "la disciplina di un tributo proprio provinciale che , valorizzando l'autonomia tributaria, attribuisca all'ente la facoltà della sua istituzione in riferimento a particolari scopi istituzionali". Ciò significa dare per scontato, anzi consolidare, l'esistenza delle Province. Non si tratta di riprendere un vecchio cavallo di battaglia repubblicano. Ma l'inutilità dell'ente Provincia è ormai ampiamente riconosciuta, almeno all'interno del Pdl. Basti in proposito ricordare la recente intervista del Ministro Scajola a "Economy": "le Province costano 15 miliardi ed hanno come competenza strade e ambiente, che potrebbero essere affidati ad altri enti". Ed ancora l'articolo di Enzo Raisi sul "Secolo d'Italia": "La Provincia, ente inutile sopravvissuto dopo la costituzione delle Regioni, deve essere abolita per porre fine a costi e a blocchi nei processi autorizzativi della pubblica amministrazione che non hanno più ragione di essere". Se il federalismo fiscale vuole essere effettivamente l'occasione per eliminare gli sprechi, ridurre gli adempimenti a carico dei contribuenti, affermare il principio della sana amministrazione, non può contemplare un'autonomia impositiva anche per un ente inutile. Infine un'ultima osservazione. Allorché nel lontano 1975 fu discussa alla Camera la delega sul trasferimento delle funzioni statali alle Regioni (tradottasi poi nel decreto 616/77), come repubblicani ci opponemmo allo stralcio delle norme dell'originario disegno di legge che prevedevano la contestuale ristrutturazione dell'amministrazione centrale, perché ciò avrebbe comportato una inutile permanenza di personale e di uffici dell'apparato centrale con conseguente aggravio dei costi. Dall'attuale disegno di legge non si capisce bene se il trasferimento di alcune competenze fiscali alle Regioni e agli enti locali significherà anche un contemporaneo trasferimento di personale e strutture da parte dello Stato, o se si ripeterà l'errore del 1975. Sono queste alcune prime riflessioni sul disegno di legge relativo al federalismo fiscale. Altre più meditate ci riserviamo di formulare quando conosceremo il testo definitivo. E lo faremo senza pregiudizi, ma anche senza sconti. |